domenica 17 giugno 2012

Ancora eroi - considerazioni di lingua

Secondo tempo di "Ramboso"... una parziale dimostrazione di quanto sostengo.


Una volta che si inizia una riflessione, è sempre meglio non lasciarla a metà. Almeno proviamoci.
Meneghello, in "Libera nos a Malo", scrive, tra le molte altre, una pagina stupenda sul rapporto dei bambini della provincia veneta alle soglie dell'età contemporanea e il cinema.
L'autore coglie subito nel segno, registrando come, di tutta la faccenda degli eroi western, era l'aspetto linguistico a lasciare l'orma più profonda e indelebile nella mente fervida e impressionabile nell'infanzia o nell'adolescenza.
"Ti coppiamo", minacciano, usando una bellissima doppia P, nel cortile improvvisamente divenuto lontano ovest, degli improvvisati soldati (nordisti o sudisti, non ricordo!) a un altrettanto estemporaneo nemico.
"Provate!", risponde il coraggioso, pronto alla battaglia.
E Meneghello ipotizza il legame di quel "provate", così strano, esotico nel lessico veneto di Malo, con il "Prove it" dell'inglese doppiato in italiano.
Eh già, non si può essere eroi senza un codice per esprimere degnamente il proprio eroismo. Come già affermato nel post precedente, l'inglese è di fatto una lingua giovane, epica per natura, secca e sonora, e, soprattutto, una lingua oggi divenuta globale.
L'eroe è eroe di tutti, pertanto deve parlare una lingua comune ai più. Il greco di Omero forse all'origine non era IL greco, ma lo è diventato. Il latino di Virgilio, quello con cui Enea parla dimostrando la sua pietas, di certo in origine non era IL latino, ma lo è diventato, proprio veicolando un'epica nella quale si è identificato un popolo.
Potremmo dunque ipotizzare l'esistenza di una sorta di triangolo, ai cui vertici stanno l'epica, la lingua, la nazione.
Re Artù, nazione anglosassone, lingua inglese.
Orlando, nazione franca, lingua d'oil.
Sigfrido, nazione germanica, lingua tedesca.
E l'Italia? Qual è il nostro Sigfrido?
Prima considerazione, di natura politica: la storica frammentazione della Germania non ne ha pregiudicato una coscienza unitaria, come non ha pregiudicato la sua unità linguistica. In altre parole: non serve necessariamente uno stato unitario per fare una lingua o una nazione.
Principio, questo, che potrebbe mettere tranquilli noi italiani.
Eppure la cronica assenza di un'èpos nazionale ha un che di inquietante, e a mio avviso si rispecchia anche nella cronica assenza di una lingua nazionale.
Non a caso si può dire che il primo nostro eroe nazionale sia Garibaldi, generato proprio quando, nelle scuole del regno, sull'onda dell'italiano manzoniano, lo Stato sabaudo cercava disperatamente un collante nell'immaginario collettivo, che di fatto ancora mancava.
Chi ha avuto o avrà la fortuna di leggersi le "Fiabe italiane" raccolte da Calvino, potrà facilmente constatare che in effetti in Italia è presente un immaginario collettivo, ma diffuso, declinato, innestato per così dire in cento modi diversi, perchè cento sono le lingue che hanno animato la cultura del nostro paese.
Fin qui, una semplice analisi dello status quo.
Ma non basta. Se le cose fossero andate per il verso giusto, oggi ognuna di quelle parlate regionale avrebbe mantenuto la stessa dignità, sarebbe ancora in grado, o per meglio dire, sarebbe ancora giudicata in grado di veicolare immaginari, racconti, eroi. Avremmo ancora le nostre epiche fatte magari non da Achille o Sigfrido, ma dal Gobbo Tabagnino, da Gesù e San Pietro, dal Salvanel, da Filomusso, da Giuanìn Benforte che a cinquecento diede la morte e avanti così.
I nostri piccoli eroi dialettali aggredirebbero da più fronti diversi i Moloch grecolatini o germanici, e li corroderebbero con l'intelligenza dei villani, con la risata volgare della scatologia e della flatulenza, ossia della merda e delle scorregge sulla cui forza apotropaica si basano tante fiabe del nostro passato (prossimo, non remoto come parrebbe!).
Saremmo un popolo gioioso e orgoglioso del nostro dna arlecchinesco, cangiante, metamorfico, inafferrabile eppure esistente, presente, colorato, sanguigno.
Non è andata così. Oggi non abbiamo più eroi, in Italia, perchè non abbiamo più una lingua. Beh, una ce l'abbiamo, e ce la facciamo andar bene, ma è la lingua fredda e cerebrale della norma calata dall'alto, del potere.
Non a caso, negli ultimi teatrini dei burattini, l'eroe di turno (a seconda della regione Arlecchino, o Pulcinella, o Fagiolino...) parla l'idioma locale, con cui irride e deride l'italiano affettato e impotente dell'antagonista (dottore, carabiniere o prete che sia).
E così facciamo parlare, agli eroi che importiamo dall'estero, la lingua che abbiamo imparato.
"Vivo o morto tu verrai con me". "Non sono venuto a salvare Rambo da voi, ma voi da Rambo!". "Non ho amici tra i civili", "Potevo ucciderli tutti, potevo uccidere anche te. In città sei tu la legge, qui sono io. Lascia perdere. Lasciami stare o scateno una guerra che non te la sogni neppure. Lasciami stare, lasciami stare". E chi più ne ha più ne metta.
Ma non ci siamo limitati a questo. Abbiamo relegato le lingue di quella che noi potremmo chiamare la nostra pre-cultura, a un livello deteriore, squalificato, indegno. Lingue della povertà e dell'ignoranza, lingue da dimenticare. La controprova?
Provate a pensare a un eroe di Hollywood che parla veneto. Rambo non dice "Murdoch! Sono io che vengo a prenderti", ma "Murdoch, orco .... (perchè la bestemmia in effetti ci starebbe bene)! Desso te ciapo!". Evidentemente non è la stessa cosa. Ci fa sorridere. Eppure non dovrebbe.
La cosa triste è che secondo Nietzsche il popolo che non è più in grado di crearsi eroi, è pronto a cadere.
Speriamo che non se ne accorga nessuno.


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